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Recensione: Due in uno, di Sayed Kashua

Due in uno
Due in uno

Cominciamo con una frase.

«Ti ho aspettato e non sei venuto. Spero che vada tutto bene. Volevo ringraziarti per la notte scorsa, è stata meravigliosa. Mi chiami domani?».

Cosa fareste voi, se trovaste un foglietto con sopra scritta una frase del genere, per di più con la grafia di vostra moglie?

Questa frase è l’espediente narrativo su cui ruota una mia piacevole scoperta bibliografica: il romanzo Due in Uno di Sayed Kashua, edito da Neri Pozza nella collana Bloom e tradotto da Elena Loewenthal.

Meglio però precisare una cosa: dietro non c’è solo una storia di gelosia, ma un’architettura dell’intreccio e del intrigo direi eccellente, sorprendente, curiosa, avvolgente. La trama del romanzo si dipana lungo due binari; le due parti della storia sono scandite da un punto di vista narrativo diametralmente opposto. Interessante anche la scelta del titolo di ogni paragrafo: sostantivi, verbi, località, oggetti, spezzoni di frasi. Tutti si ritrovano nel testo del paragrafo a cui si riferiscono, messi lì quasi fossero un promemoria, ma che secondo me hanno un significato nascosto che sarebbe bello indagare.

Di cosa parla, allora, Due in uno?

Da una parte, c’è la figura di un avvocato arabo in carriera, residente a Beit Safafa (il quartiere più ricco di Gerusalemme), il quale conduce una vita agiata, da protagonista, con una famiglia felice. Il suo unico cruccio è una scarsa cultura, e per ovviare a questa pecca e non sentirsi inferiore alle proprie frequentazioni sociali, egli acquista periodicamente libri consigliati da Ha’aretz, rivista di settore.

Tra questi suoi acquisti, un giorno gli capita tra le mani una copia gualcita de La Sonata a Kreutzer di Tolstoj. Sua moglie, un giorno, glielo aveva nominato, senza poi tornarci più sopra. All’interno del libro, un sera, l’avvocato trova un biglietto con la frase che ho riportato all’inizio, che rappresenta la svolta del romanzo. Con quella frase inizia ad aprirsi una voragine sotto il pavimento di certezze che l’uomo pensava di aver costruito. Insicurezza, dubbi, titubanze, un’improvvisa cattiveria si fanno strada nell’animo dell’avvocato.

Inoltre, il risveglio dell’orgoglio arabo ferito, la gelosia che lo attanaglia, tutto concorre nel modificare il suo comportamento, mutando il sospetto in fissazione. Seguire la moglie per le strade di Gerusalemme, controllandone spostamenti e verificando ogni suo passo, diventa la conseguenza più ovvia di tale stato d’animo.

Sayed Kashua
Sayed Kashua

Dall’altra parte, la storia viene narrata in prima persona da un altro arabo, Amir, il co-protagonista del romanzo. Giovane assistente sociale, Amir vede la propria vita mutare in seguito all’assistenza a un giovane israeliano (Yonatan) in stato vegetativo, trovando suo malgrado la strada per il proprio ingresso nel mondo, seppur contraddittorio, in cui vivono due realtà diverse come quella araba e quella ebraica. La contrapposizione esiste, a livello culturale, economico, umano, questo è indubbio. E allora chi meglio di uno che la vive, che la conosce per presa diretta, poteva descrivere il dedalo di intrecci e la straripante fonte di confronto che emerge dalla coabitazione forzata in quei territori?

Tornando alla storia in sé, alla trama, ho già detto che essa viene condotta lungo due binari separati con stile, con tono incalzante. Pagina dopo pagina, il lettore si chiede continuamente non solo come andrà a finire, ma il perché dei singoli passaggi, apparentemente scollegati ma agganciati in un modo lucido fino alla parte finale.

Infatti i binari, contrariamente al parallelismo infinito, in questo caso a un certo punto s’incontrano, e quando ciò accade portano a nuove scosse e modifiche nelle vite dei protagonisti. Come ciò accada e quale sia il punto in comune delle due parti della storia non ho alcuna intenzione di rivelarlo. Sarà bello scoprire da voi, leggendo le pagine di questo interessante testo acclamato dalla critica e dal pubblico in Israele, tutto quanto io non vi abbia rivelato (ed è il più, è chiaro). Così avrete anche il piacere di assaporare il sorprendente finale.

Concludo con una frase, questa volta di mio pugno:

“Leggere le culture altrui è il modo migliore per ampliare la propria; leggere le parole altrui è il modo migliore per capire le persone”. Se siete d’accordo con me, non fatevi sfuggire questo libro.

Enzo D'Andrea

Enzo D’Andrea è un geologo che interpone alle attività lavorative la grande passione per la scrittura. Come tale, definendosi senza falsa modestia “Il più grande scrittore al di qua del pianerottolo di casa”, ha scritto molti racconti e due romanzi: “Le Formiche di Piombo” e "L'uomo che vendeva palloncini", di recente pubblicazione. Non ha un genere e uno stile fisso e definito, perché ama svisceratamente molti generi letterari e allo stesso tempo cerca di carpire i segreti dei più grandi scrittori. Oltre che su MeLoLeggo, scrive di letteratura sul blog @atmosphere.a.warm.place, e si permette anche il lusso di leggere e leggere. Di tutto: dai fumetti (che possiede a migliaia) ai libri (che possiede quasi a migliaia). Difficile trovare qualcosa che non l’abbia colpito nelle cose che legge, così è piacevole discuterne con lui, perché sarà sempre in grado di fornire una sua opinione e, se sarete fortunati, potrebbe anche essere d’accordo con voi. Ama tanto la musica, essendo stato chitarrista e cantante in gruppi rock e attualmente ripiegato in prevalenza sull’ascolto (dei tanti cd che possiede, manco a dirlo, a migliaia). Cosa fa su MeLoLeggo? cerca di fornire qualcosa di differente dalle recensioni classiche, preferendo scrivere in modo da colpire il lettore, per pubblicizzare ad arte ciò che merita di essere diffuso in un Paese in cui troppo spesso si trascura una bellissima possibilità: quella di viaggiare con la mente e tornare ragazzi con un bel libro da sfogliare.

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