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La cameriera di Artaud, di Veronica Nieto

“Sai che tutti i mostri vivono dentro un unico limone? Ci fu un cieco che dedicò tutta la sua vita a raccogliere limoni e tagliarli a metà. Ma non credere che li abbia uccisi, Amélie. Non è facile trovare il limone giusto.”

La cameriera di Artaud
La cameriera di Artaud

Forse tutta la storia di Amélie potrebbe essere racchiusa in queste poche parole, in questo concetto essenziale: come poter trovare e imprigionare tutte le paure umane, tutte le malattie, tutti i mali in un solo luogo? Per l’uomo moderno questo luogo sembra avere una collocazione: il manicomio, o anche detto ospedale psichiatrico, un ambiente nel quale imprigionare e dimenticare tutti i diversi, gli strani, gli incapaci a vivere nel mondo reale. Ma il vero punto della questione alla fine si rivela essere un altro: come poter definire e discernere chi è normale, e pertanto degno di camminare libero per la strada, da chi è invece portatore di qualche deficienza, di qualche carenza che lo rende inabile alla vita?

Di ciò si interroga Verónica Nieto nel suo ultimo romanzo (La cameriera di Artaud, edito da Valigie Rosse) e lo fa quasi in punta di piedi, sommessamente, presentando sulla pagina la storia di Amélie, adolescente prima, donna poi, costretta a vivere tra le mura di un manicomio, vittima dei costumi dell’epoca (gli anni Quaranta, in piena dominazione nazista), del disinteresse di una madre volutamente lontana, delle credenze popolari. In bilico costante tra follia e normalità, tra ordinario e patologico, Amélie rimarrà sempre a metà strada: non troppo pazza da essere considerata pienamente incapace ma mai così sana da conquistare facilmente la libertà.

Un romanzo dalle grandi ambizioni che paga però in parte una prosa a tratti lenta e dispersiva. Accanto alla protagonista ruotano una moltitudine di personaggi: inservienti del manicomio, internati, parenti… E primo fra tutti una figura storica, Antonin Artaud, famoso scrittore francese caduto in disgrazia e rinchiuso nella casa di cura. Ma malgrado l’evidente richiamo sin dal titolo, di Artaud il lettore scoprirà ben poco: anche lui rimarrà relegato sullo sfondo, un altro dei tanti soggetti destinati a ruotare intorno alla protagonista, senza mai venire messo del tutto a fuoco.

Un’opera che aveva tutte le caratteristiche di fare breccia nel lettore con un tema importante, del quale non se ne parla mai abbastanza, ma che purtroppo cade sotto la frana di una narrazione apparentemente priva di un chiaro scopo, carente di quella che dovrebbe essere la storia principale, pietra angolare di tutto il romanzo. Ne rimane comunque un buon ritratto della protagonista, a tratti sfocato ma comunque d’effetto.

Roberta Taverna

Di giorno Roberta Taverna, dottoressa in giurisprudenza , corre tra un’aula di tribunale e l’altra, mentre la sera si dedica al primo grande amore della sua vita: i libri. Lettrice instancabile, fa scorrere tra le sue dita le pagine di centinaia di libri ogni anno; legge in treno, mentre corre sul tapis roulant in palestra, camminando per strada… Predilige i romanzi contemporanei stranieri, con qualche ciclica capatina tra classici dell’Ottocento. Ha frequentato corsi di giornalismo e di scrittura comico-creativa, ha collaborato con alcune testate locali e ha fatto parte della giuria del concorso letterario Casa Sanremo Writers 2014. Ha creato e coordina il sito letterario Inkbooks. Cosa fa su MeLoLeggo? Legge molto, cerca di smaltire la pila infinita di volumi che si moltiplicano inspiegabilmente ogni giorno sugli scaffali di casa e recensisce tutto ciò che scopre imperdibile.

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