NovitàRecensioni

Il passo perfetto – Cammino di Santiago, di Nicola Artuso

Il passo perfetto
Il passo perfetto

Su Santiago de Compostela esistono guide, opinioni, recensioni e libri. Esiste tanto che sembra un’esperienza come tante, solo un po’ più faticosa del solito.

Nicola Artuso, nel 2001, l’ha fatta. Io (ancora) no. E si sente tutta, l’esperienza.

Una vicenda iniziata quasi per caso, un susseguirsi di giorni e fatica, sudore e vesciche, alla ricerca di un “passo perfetto”, alla scoperta di uno dei probabili significati della parola fede.

Artuso, così, si volle mettere in gioco intraprendendo un’avventura scarpinante di quasi mille chilometri, dai Pirenei all’immensità dell’Oceano Atlantico, munito di una guida dettagliata (che egli elogia e cita spesso, tra l’altro) e di tanta curiosità.

Seguire la freccia gialla è l’imperativo:

…dall’inizio alla fine del Cammino il pellegrino si deve basare esclusivamente sulle indicazioni della freccia gialla dipinta sui muri delle case, sull’asfalto delle strade, sugli alberi, sui ciottoli dei sentieri in mezzo al bosco e sui pali della luce […] Individuare la freccia nel caos significa essere nel cammino. Una freccia. Una scrittura elementare. Tre segni in croce che, a volte, diventano il tuo unico legame con il progetto nel quale ti sei incanalato: la realtà…

Partendo da Roncisvalles, si dipana un viaggio sul percorso di San Giacomo, fatto di ostelli, attrazioni fatali e sfuggenti incontri, vesciche purulente e sudore e incredulità, ragionamenti al limite dell’allucinazione, personaggi strambi e altri meno locos, lingue e usi diversi durante un mese trascorso in modo spartano, senza badare a etichetta e tabù e consumando passioni e riflessioni con una foga da fine del mondo.

I milioni di passi, le località, i valichi e le sierras, terra e polvere, si susseguono mentre il protagonista ha modo di riflettere su se stesso e sul mondo che lo attende a una estremità del cammino e su quello che ha temporaneamente lasciato, all’altro capo del percorso.

La vicenda diviene spesso la scissione tra fisico e spirito, le prove materiali e le fitte corporali si tramutano in dolore psicologico, un cambiamento che diviene di sostanza prima che di forma.

La sofferenza cresce con l’andare dei giorni, col divenire di un viaggio che si fa scoperta, geografica, ma anche fisiologica, interiore; è un’esperienza che accomuna tutti, nessuno escluso. Anche chi, come l’autore, non è credente forse nemmeno di striscio.

Nicola Artuso
Nicola Artuso

E, alla fine, è indubbio riconoscere quanto sia cambiato, Artuso. Egli è il primo a doverlo riconoscere, e forse a esserne felice.

Il cammino di Santiago, perpetuato da milioni di gambe, menti e spiriti, nei secoli è mutato nelle modalità, ma ha reso uguali per un certo periodo di tempo persone di estrazione, cultura e nazionalità differenti. Tutte accomunate da quella ricerca introspettiva, da quel desiderato non so che fuggevole come un riflesso solare.

…Prendi un campione di umani tipo uomo-donna, l’età non ha importanza […] Quello che conta è che abbiano un’identità, un passato e delle idee ben salde in testa sulla vita. Mettili nel Cammino di Santiago de Compostela, con dieci chili sulle spalle e la consegna di camminare. Camminare e basta. Seguili passo passo e osserva cosa succede. Troverai che nel giro di un paio di giorni tutte le convinzioni crolleranno come torri […] Troverai che diventeranno uomini e donne, solamente. Tutti abbastanza simili da piangere per gli stessi problemi. Abbastanza simili tra loro da non cercare conflitti di potere. Scoprirai ch’è così. Se ci provi…

A furia di sondare dentro se stessi, dentro la propria capacità di adattamento, mentre si macinano (spesso in solitaria e col solo sibilo del vento a farti compagnia) chilometri al giorno e si sopportano dolori su dolori, è inevitabile che alla fine del viaggio si cambi sul serio.

Ciò che Artuso incontra sono pellegrini misteriosi (o forse solo un po’ fuori di testa), testimoni di squinternate verità, ragazze belle e procaci messe lì quasi alla ricerca dell’avventura più che del benessere spirituale.

Allora è inevitabile affrontare il racconto con un pizzico di ironia, senza grandi freni psicologici e di galateo. L’ironia a volte è semplice e succosa, come il pensiero spontaneo sul vento, assiduo compagno di viaggio dotato di una curiosa musicalità:

…Così inizi a pensare cose del tipo: quell’altra nota mi piaceva di più, no è meglio questa. Questa ha un riverbero più alto verso la coda, l’altra era più grave quindi più adatta alla mia voce, o ancora: vuoi vedere che dipende da come sono fatte le mie orecchie? E se dipendesse invece dal cerume? E cose del genere…

Il libro, a discapito del soggetto, di mistico ha solo qualche sprazzo. Si tratta più di una riflessione sulla propria vita, sul mondo che ci circonda, sull’umanità in cui t’imbatti e che saluti il giorno seguente, relegando tutto il tuo rapporto umano in poche, incredibili ore.

Lo stile, però, in alcuni frangenti a mio giudizio pecca un po’. Per esempio, l’ironia spesso è spontanea, ma in alcuni casi a me è parsa eccessiva, come quando si calca la mano senza costrutto, senza uno specifico e preciso scopo. La scrittura è a volte scarnificata, e se da un lato ciò è necessario e buona cosa per imprimere il ritmo a quello che è (anche) un diario di viaggio, dall’altro le parole scivolano asettiche in certi passaggi, come se si volesse puntare sull’effetto e non sul sentimento.

È una mia opinione, claro que sì. Eppure, non sarebbe stato un male aggiungervi un pizzico di liricità, soprattutto nelle descrizioni dei paesaggi, veri compagni di viaggio in alcune pagine.

Il libro è bello, interessante e scorre bene anche nei passaggi riflessivi, quelli in cui la mente s’infervora. Avrebbe però potuto essere meglio dotato, con un pizzico di attenzione a certo editing di fino. Una lettura che comunque consiglio.

Enzo D'Andrea

Enzo D’Andrea è un geologo che interpone alle attività lavorative la grande passione per la scrittura. Come tale, definendosi senza falsa modestia “Il più grande scrittore al di qua del pianerottolo di casa”, ha scritto molti racconti e due romanzi: “Le Formiche di Piombo” e "L'uomo che vendeva palloncini", di recente pubblicazione. Non ha un genere e uno stile fisso e definito, perché ama svisceratamente molti generi letterari e allo stesso tempo cerca di carpire i segreti dei più grandi scrittori. Oltre che su MeLoLeggo, scrive di letteratura sul blog @atmosphere.a.warm.place, e si permette anche il lusso di leggere e leggere. Di tutto: dai fumetti (che possiede a migliaia) ai libri (che possiede quasi a migliaia). Difficile trovare qualcosa che non l’abbia colpito nelle cose che legge, così è piacevole discuterne con lui, perché sarà sempre in grado di fornire una sua opinione e, se sarete fortunati, potrebbe anche essere d’accordo con voi. Ama tanto la musica, essendo stato chitarrista e cantante in gruppi rock e attualmente ripiegato in prevalenza sull’ascolto (dei tanti cd che possiede, manco a dirlo, a migliaia). Cosa fa su MeLoLeggo? cerca di fornire qualcosa di differente dalle recensioni classiche, preferendo scrivere in modo da colpire il lettore, per pubblicizzare ad arte ciò che merita di essere diffuso in un Paese in cui troppo spesso si trascura una bellissima possibilità: quella di viaggiare con la mente e tornare ragazzi con un bel libro da sfogliare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.