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Santi Numi, di Jacopo Masini

Di storie da inventare ce n’è sempre in giro. Sembra strano, ma è così. Altrimenti, come potremmo avere tanti libri da leggere e tanta gente che scrive?

E se prendessimo le storie della Bibbia, quelle dei santi e i beati e i profeti, quelle che ci hanno insegnato e riproposto nelle varie tappe della nostra crescita, e le trasportassimo ai tempi nostri in una pianura Padana, in mezzo alla gente comune, coi vizi (tanti) e le virtù (pochine) dei tempi nostri, cosa ne verrebbe fuori?

Santi Numi!, direi.

No, non è un’esclamazione a sé stante. È proprio il titolo del testo che racchiude le storie a cui accennavo. Storie immaginarie, ma raccontate così bene che a crederci si fatica poco.

Santi Numi

Jacopo Masini, schietta penna autrice, si diverte a ripescare nell’agiografia e con un pizzico d’eresia letteraria stravolge gli impianti e i linguaggi e tira fuori delle pagine a tratti irresistibili.

L’Autore, da tempo docente di scrittura creativa, simula ed estrapola storie da improbabili fonti che non manca di citare, come la Cronaca delle diciassette tribolazioni dei giorni d’estate, quando c’è molta afa e non c’è modo di trovare un po’ di fresco neanche all’ombra di un salice in riva al fiume, oppure Vita e detti degli abitanti delle zone umide tra Colorno e Baganzola, oppure ancora la Leggenda Maggiore dei suonatori di fisarmonica di Bonaventura da Mazzabue. E tante altre… ma mi fermo qui.

I protagonisti? Gente comune o giù di lì, per cui Erode diventa Renzo Davoli, Salomé diventa Lauretta e il buon Giovanni Battista il medico Giovanni Benatti che cerca di distogliere l’amico Davoli dal circuire Laura, sua cognata ancora sposata col fratello, in barba a ogni regola, e questa, per vendetta, istiga la figlia Lauretta contro il medico:

“…E allora andò dalla madre, le raccontò tutto e disse: – Ma’, cosa devo chiedergli? Non lo so mica. La Laura, che aveva tante cose tutte insieme che le ribollivano dentro, si strinse nel cappotto, e disse: – Digli di spaccare la testa a Benatti. Allora la Lauretta rientrò nella sala, si avvicinò a Davoli e gli disse che sapeva cosa domandargli. – Dimmi – disse Davoli, le guance rosse, gli occhi acquosi e bovini da ubriaco. – Devi spaccare la testa di Benatti e farmela vedere…”

Oppure divenuti beati per caso, come il buon Corrado Alinovi:

“…Proprio in quel momento sentì un grido provenire dalla acque, era un ragazzino che urlava – Mio fratello è annegato! Aiuto! – e ancora – Mio fratello è annegato! Aiuto! – e il beato Corrado Alinovi, per non sapere né leggere né scrivere si era buttato, era andato sott’acqua nel punto dove indicava il ragazzino e sul fondo aveva visto il corpo esanime di un secondo ragazzino, con un enorme cucchiaio da cucina lungo un fianco, racconta la Cronaca delle diciassette tribolazioni dei giorni d’estate: un segno della volontà che Corrado Alinovi lo salvasse. Infatti scese sott’acqua, lo riportò a riva e, per prima cosa, gli diede da bere il suo zabajone. Il ragazzino riprese conoscenza, rischiando di strozzarsi con lo zabajone, e da quel momento per tutta la valle e le campagne della val Taro si diffuse la voce che Corrado Alinovi era beato e salvava con l’uso dello zabajone e grazie alla fede nelle galline e soprattutto nelle uova, perfettissime e miracolose. Secondo altri, invece, era stato solo culo, nel senso che le uova non c’entravano niente e il beato Corrado Alinovi era matto palato, anche se le uova rimanevano comunque buonissime. Per questo, Corrado Alinovi è detto il Beato della Discordia…”

Un libro che unisce il pettegolezzo all’agiografia, ma anche certi semplici comportamenti che affondano a piene mani nella genuina tradizione di una schietta umanità contadina:

“… Bussò una volta, poi un’altra ancora e, dopo un po’, quando ormai era sul punto di diffidare della voce nella sua testa, di girare i piedi e di andarsene, ecco che sentì dei passi provenire dall’interno, poi un rumore come di una sedia che cade e un tonfo. Rimase in attesa e dopo venti o trenta secondi la porta si aprì e, sulla soglia, c’era un vecchio con il riporto tutto in disordine, i capelli bianchi, una faccia scazzata, che indossava una tonaca marrone scuro lunga fino ai piedi e che disse: – Vacca boia, che botta.

Paolino, che aveva pensieri semplici, non fece caso alla risposta e disse soltanto: – Voglio farmi monaco. L’uomo, che si chiamava Livio Robecchi, disse: – Ma io sono un prete. – Poi aggiunse: – Ma sei normale? – È il nostro uomo – disse la voce che parlava nella testa di Paolino il Semplice. – Sono molto stanco – disse Paolino – E tu sei il nostro uomo. – Ma vai a cagare, va’ – disse don Livio Robecchi, prima di sbattere la porta in faccia a Paolino detto il Semplice…”

Santi Numi mescola i generi (la tragedia, la commedia, il riso, l’assurdo) e, tra le storie narrate (un sapiente mix tra racconti di una pagina e narrazioni più lunghe), capita di trovarci anche quella di chi è stato a un passo dalla santità ma non ha saputo approfittarne:

Gli sembrò a quel punto che la donna sollevasse un braccio nella sua direzione, col palmo all’insù e gli facesse richiesta di avvicinarsi con un gesto ed Egidio Cattabiani ebbe l’impressione che una voce femminile nella sua testa dicesse – Egidio, vieni, seguimi – ma Egidio non era certo tipo da credere a cose del genere, specie se a dirle era una donna ferma in mezzo a un campo e con la luce del tramonto alle spalle che non permetteva neanche di vederne distintamente i lineamenti.

– Ma io no che non vengo – disse e al rumore delle sue parole un fagiano si alzò in volo, Egidio imbracciò il fucile e sparò senza pensare, in direzione del fagiano, che era sulla stessa traiettoria della donna in mezzo al campo ed Egidio Cattabiani si rese immediatamente conto di quel che aveva fatto.

– Orco boia, ho mazzato anche la donna – pensò, mentre il fagiano spegneva la sua traiettoria in riva a un fosso. Ma la donna non c’era più.

Un attimo prima era lì e dopo lo sparo era svanita.

Egidio Cattabiani raccontò negli anni a seguire diverse volte questa storia e le cronache riportano il fatto come uno dei rari casi in cui a qualcuno appare probabilmente la Madonna, concedendogli magari la possibilità di redimersi e passare alla storia come santo o beato, e lui invece le spara. Passando alla storia così, come Egidio Cattabiani…”

In definitiva, Santi Numi è un libro che sorprende, diverte e fa riflettere, che ti acchiappa non subito ma giù di lì e, scorrendone le pagine, hai davvero la sensazione di aver tra le mani qualcosa di inconsueto, piacevole e destinato a far parlare di sé.

Enzo D'Andrea

Enzo D’Andrea è un geologo che interpone alle attività lavorative la grande passione per la scrittura. Come tale, definendosi senza falsa modestia “Il più grande scrittore al di qua del pianerottolo di casa”, ha scritto molti racconti e due romanzi: “Le Formiche di Piombo” e "L'uomo che vendeva palloncini", di recente pubblicazione. Non ha un genere e uno stile fisso e definito, perché ama svisceratamente molti generi letterari e allo stesso tempo cerca di carpire i segreti dei più grandi scrittori. Oltre che su MeLoLeggo, scrive di letteratura sul blog @atmosphere.a.warm.place, e si permette anche il lusso di leggere e leggere. Di tutto: dai fumetti (che possiede a migliaia) ai libri (che possiede quasi a migliaia). Difficile trovare qualcosa che non l’abbia colpito nelle cose che legge, così è piacevole discuterne con lui, perché sarà sempre in grado di fornire una sua opinione e, se sarete fortunati, potrebbe anche essere d’accordo con voi. Ama tanto la musica, essendo stato chitarrista e cantante in gruppi rock e attualmente ripiegato in prevalenza sull’ascolto (dei tanti cd che possiede, manco a dirlo, a migliaia). Cosa fa su MeLoLeggo? cerca di fornire qualcosa di differente dalle recensioni classiche, preferendo scrivere in modo da colpire il lettore, per pubblicizzare ad arte ciò che merita di essere diffuso in un Paese in cui troppo spesso si trascura una bellissima possibilità: quella di viaggiare con la mente e tornare ragazzi con un bel libro da sfogliare.

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