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Quel che affidiamo al vento, di Laura Imai Messina

Quel che affidiamo al vento (edizioni Piemme) è un romanzo della scrittrice italiana Laura Imai Messina, che vive ormai da molti anni in Giappone.

L’autrice ha ambientato in questo Paese tutti i suoi libri, dai quali si evincono chiaramente la passione e la forte curiosità rispetto alla cultura e agli usi, e sicuramente alle persone, di un luogo così particolare e di intramontabile fascino.

Quel che affidiamo al vento

La protagonista di Quel che affidiamo al vento è Yui, una giovane donna che ha perso la madre e la figlia nello tsunami del marzo 2011. La vita per lei scorre: prosegue a lavorare come conduttrice radiofonica e continua spesso a pensare a quello che è successo e alla figlia, che vede più e più volte nascere nuovamente nei suoi sogni e che sente sempre presente. Del resto, come dice la scrittrice, quello che si impara è difficile da disimparare, e per Yui è difficile disimparare a essere una madre.

Un giorno alla radio sente parlare di un posto speciale, una cabina telefonica in mezzo a un giardino dove la gente si reca per parlare con i propri morti. È il giardino di Bell Gardia.

Il Telefono del Vento non è collegato, ma ognuno può parlare con i propri cari e provare a capire un po’ di più quella cosa misteriosa che è la morte, e dare così un senso alla perdita. Le persone si trovano in questo modo a raccontare la propria vita, i propri successi e problemi, come anche i propri sentimenti, come se i morti fossero ancora lì ad ascoltare.

A Bell Gardia la giovane Yui conosce Takeshi. Le storie dei due hanno diversi punti di contatto e a poco a poco si forma una connessione, con il lutto e la volontà di vivere intensamente come forma di unione.

I due cominciano ad andare spesso insieme a Bell Gardia, e grazie a quella condivisione nasce un nuovo sentire, di gioia e di nuove possibilità.

Quel che affidiamo al vento è un romanzo speciale che tratta un tema molto difficile, quello della morte e della rinascita personale, per parlare alla fine di come si impara a vivere nonostante tutto, di come si trova il proprio posto, oltre la sofferenza… e del coraggio necessario per tornare a sentire tutte le emozioni, la tristezza e la gioia, e provare a essere felici.

In un punto del romanzo, Takeshi pone ad altre persone una domanda che sembra semplice, ma che semplice non lo è affatto: “Come si fanno a far felici i bambini?”

Le risposte sono tutte diverse, ma in un aspetto concordano: bisogna prestare loro attenzione, capire di cosa hanno bisogno, ciò che amano, e incoraggiarli.

Alla fine è così che i personaggi, e tutti noi, possiamo trovare la nostra felicità, ovvero attraverso l’attenzione rispetto alle cose semplici, e grazie alla forza di accettare la fragilità di questa vita, e di amarla così com’è.

Elisabetta Narese

Elisabetta Narese è dottoressa in Global Studies e ha un passato come insegnante di diritti umani in Ucraina. Ascolta molto e parla poco, a meno che l'argomento non le interessi. Ama le avventure, le organizzazioni umanitarie, viaggiare e scoprire cose nuove. Ha sempre la valigia pronta e una destinazione in mente. La prossima? Al momento è a Mosca, poi chissà... Cosa fa su MeLoLeggo? Legge e recensisce, ovviamente. Non ha gusti difficili, ma ammette una certa predilezione per Haruki Murakami, Truman Capote, C.S. Lewis, i saggi incentrati su temi storici e qualsiasi cosa che riguardi il Medio Oriente. Fonti sicure affermano però che la sua libreria ospiti anche l'intera saga di Harry Potter.

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