Il ritorno del Budda: i girotondi mentali di un’epoca che non c’è più
![Il ritorno del Budda](https://www.meloleggo.it/wp-content/uploads/2015/07/Il-ritorno-del-Budda.jpg)
Nella Parigi degli anni ’30 del secolo scorso un uomo molto ricco viene trovato morto, colpito alla nuca da una pugnalata. Viene accusato del delitto uno studente russo – il protagonista nonché voce narrante. Il giovane è uno spiantato e per di più soffre di tremende allucinazioni, e la sua unica colpa è stata quella di aver incontrato per combinazione la vittima e, la sera del delitto, di essere l’ultimo ad aver visto in vita il defunto – a parte l’assassino, s’intende, nel caso non fosse davvero stato lui a commettere il delitto.
Nella parte iniziale si ha quindi l’impressione di essere capitati nel bel mezzo di quel tipo di vicenda definita, nel senso comune, “kafkiana”.
Kafka permea e pervade il tratto, l’angoscia delle sensazioni e, non ultimo, è intimamente collegato a quel senso di estraniazione dalla realtà che s’impossessa del narratore, di colui che deve far di tutto per evitare gli effetti di una vicenda assurda in cui, appunto, è capitato per caso.
I fatti, le circostanze, come messe apposta in un certo ordine, sono tutte contro di lui. Eppure, la vicenda viene abilmente rovesciata dall’autore.
Ma non dico altro…
Potrei rovinare la lettura…
Sovente, l’atmosfera è fumosa e onirica:
…Morii – a lungo ho cercato le parole per descrivere quanto mi accadde e infine mi sono convinto che nessuna delle categorie della mente a cui ero solito ricorrere me ne avrebbe fornito una definizione e che quella meno distante apparteneva proprio alla sfera della morte…
Che dire? Un inizio insolito.
Il giovane protagonista entra in contatto con imbroglioni e profittatori, ma anche con l’amore nell’assoluto profumo dell’infatuazione – cosa, d’altra parte, cui lo espone proprio il suo problema di fervida e pericolosa immaginazione.
La morte del milionario pare associata alla sparizione di una preziosa statuetta che ritrae un Budda in posizione insolita rispetto alle comuni raffigurazioni – la statuetta lo riproduce, infatti, in posizione eretta.
Il tema poliziesco, a dire il vero, pare un po’ tirato e tenuto a mo’ di appoggio per gli aspetti riflessivi; questa sensazione va e viene, nel corso dello sfogliar di pagine.
Pur accendendosi quasi nel finale, in una sorta di inevitabile resa dei conti, il testo pare non godere di grandi fiammate e scivola via. La strada percorsa è senza dubbio erta, difficile.
Dicevo di stile e di Kafka.
Ma non è solo Kafka.
Nello stile di Gazdanov paiono avvicendarsi anche altri. Molto esistenzialista nello schema, Gazdanov a mio immodesto avviso somiglia a “qualcosa” di Simenon, a “qualcosina” di Proust e “poco” a Camus e Nabokov, cui pure è stato da molti accostato.
La sua scrittura è a volte fredda e dispersiva, a volte però prende e sembra volerti condurre chissà dove.
La storia vaga nei bassifondi della Ville Lumiére e riflette l’essenza della vita da esiliato, qual era l’autore – in Francia dal 1920, Gazdanov dovette svolgere molti mestieri non sempre appaganti per sbarcare il lunario.
Ma c’è anche una invadente sensualità, una vena filosofica calda e multicolore che prende il lettore per mano e lo fa avventurare in un perfido labirinto.
È una riflessione sulla vita, sull’inganno (molteplice e tirato fino alle estreme conseguenze, come si potrà scoprire leggendolo), sulla falsità di certe visioni del reale che sembrano, a un primo sguardo, assolute.
Non un testo memorabile, Il ritorno del Budda, ma merita di certo una lettura. Si astengano quelli che cercano una trama definita e lineare, questo romanzo potrebbe non fare al caso loro. Al contrario, chi ha appetito di altro, chi è pronto ad assaporare una scrittura fluente come una lunga chioma, può accomodarsi.
Il pranzo è servito.
Con delitto.