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Addio fantasmi, di Nadia Terranova

Una giovane donna, un padre scomparso quando la stessa aveva appena tredici anni, una madre persa tra il lavoro e la distanza posta nel rapporto con lei, l’unica figlia.

Addio fantasmi
Addio fantasmi

Addio fantasmi, di Nadia Terranova (Einaudi) ha per protagonista Ida, donna di trentasei anni che vive a Roma con il marito Pietro, l’unico che sia riuscito a comprendere il suo dolore senza affondare con la voglia di sapere, di capire.

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Attenzione:

la recensione contiene anticipazioni sulla trama

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Inaspettata arriva la telefonata della madre. Il passato bussa alla porta di un presente scandito da ritmi e da rituali accoglienti che la rendono sicura. La casa di famiglia, la sua terra di origine, Messina e quella Sicilia abbandonata, vogliono e pretendono un suo ritorno. La madre deve affrontare dei lavori di ristrutturazione della casa che presenta un tetto pericolante, metafora di un’esistenza ridotta a brandelli a causa di una morte non celebrata, di un corpo mai più ritrovato.

Sebastiano, il padre di Ida, stanco del suo vivere ha deciso di lasciare quella sua esistenza, dilaniato dalla depressione, malattia sottile che scava dentro fino a provocare un vuoto assordante e senza confini. Il confine della propria vita, lo Stretto di Messina, terra di nessuno e di transito, che separa quell’isola imbastardita dal continente, da Roma e dalle sue calde abitudini. Ida decide di andare, di ritornare nella sua Messina, una città che viene riscoperta nei ricordi vissuti, riassaporata attraverso odori e contraddizioni.

Per Ida quel viaggio, quel ritorno, è un travaglio doloroso, una ferita che spurga ancora sangue, non più di un rosso vivo ma di un colore brunastro, quasi come se il tempo avesse essiccato quel suo dolore. Gli oggetti e le stanze di quella casa rappresentano un campo minato. Ogni passo determina un’esplosione di ricordi, di sensazioni, di giornate trascorse avvolte nel silenzio, quello imposto da sua madre, restia nel dare spazio allo strazio, alla flagellazione di un lutto mai del tutto arrivato e mai del tutto voluto.

Ida dovrebbe e vorrebbe aiutare sua madre, cercare di imprimere la sua maturità nel prendere delle decisioni definitive e dolorose. Ma Ida, pur essendo una donna, vive imprigionata in un’adolescenza dilatata, accarezzata dalle onde dei ricordi, dal corpo del padre che viene inesorabilmente ad abitare i suoi sogni, le sue ansie e le sue angosce.

Dagli anni della scomparsa di mio padre, mia madre aveva accumulato la sua tempesta personale, a volte l’avrebbe mostrata e a volte no, a volte l’avrebbe scatenata e altre rinchiusa, io ero l’oggetto della sua rabbia ma non la causa, perciò i tentativi di lenirla sarebbero stati sempre insufficienti.

Nel corso del tempo trascorso nella sua città Ida rivede Sara, la sua migliore amica, che un’estate di tanti anni prima, appena sedicenne e presa da una malinconia accecante, aveva donato il suo corpo a un estraneo, o forse dominato il suo corpo e scopertone gli abissi più profondi. L’incontro con Sara, ora donna presa dal lavoro, distaccata e fredda alla vista di quella sua vecchia amica dei tempi del liceo, è il preludio di un’ennesima tempesta che si abbatte sulle ossa fragili di Ida.

Nikos, un giovane di appena vent’anni, già orfano di un amore clandestino e spezzato dalla scure violenta della morte, rappresenta per Ida lo spiraglio da oltrepassare per spogliarsi di quella muta, di quell’abito, di quei ricordi vissuti come ossessione, come bevanda vitale. L’amore che Nikos ha perso è un macigno troppo pesante per un giovane che si è appena affacciato alla vita e già è consapevole delle amarezze che riserva. Nikos non riesce a diventare un sopravvissuto, non riesce ad abbracciare un presente tempestato dai ricordi.

Lo strazio di Nikos dona a Ida la forza di aprire la scatola dei propri ricordi. Ricordi imbalsamati, odori imprigionati in una pipa non più accesa, una voce catturata in un nastro di una vecchia musicassetta sono per Ida il legame che la tiene ancorata al suo passato, a quel padre evaporato e mai più tornato; sono la croce su cui ha deciso di crocifiggere tutte le sue paure e le sue amarezze.

Il rito della morte viene finalmente celebrato. Il funerale, con i suoi ritmi scadenzati, il dolore vissuto in lacrime che, per la prima volta, vengono rese pubbliche, portano Ida a maturare il tempo del distacco. Non importa che quel rito, quella bara, quelle persone, siano testimonianze di un dolore estraneo, di un dolore che non appartiene alle sue viscere. Ciò che conta è la presenza di sua madre e la sua, due donne che hanno combattuto e vissuto avvolte in un silenzio paralizzante. Finalmente è giunto il momento di seppellire le spoglie, solo immaginarie, di suo padre.

La scatola piena di quegli oggetti scivola via, avvolta dal caldo abbraccio delle onde, di quel mare che separa quell’isola bastarda dal continente. Il confine, quella sottile striscia di mare, rappresenta uno spartiacque, un punto di svolta. Ida dismette i panni dell’adolescente ma decide di vivere sospesa, eleggendo come sua casa quel mare, quella striscia, volteggiando senza mai atterrare in una terra che non potrà mai esserci, come il corpo di quel padre che non potrà mai riemergere dalle viscere del passato e mai manifestarsi in un futuro che non conosce contorni.

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