L’isola della anime, di Johanna Holmström
Johanna Holmstrom, autrice di questo romanzo, porta il lettore nelle pieghe più intime dell’animo umano, sotto la pelle, a contatto con l’anima e con il senso dell’esistenza.
Protagonista del romanzo è la figura femminile, vista nelle sue mille contraddizioni in un racconto che parte dalla fine del 1800 per approdare, dopo un intreccio doloroso e uno snodo dal forte impatto emotivo, alla fine degli anni ’90 del Novecento.
Ne L’isola delle anime (Neri Pozza, trad. di Valeria Gorla), ci troviamo in un’isola dell’arcipelago finlandese, l’isola di Sjalo, immersa nella sconfinata grandezza del mare. Un tempo sull’isola approdavano i lebbrosi, più tardi sono arrivati i casi disperati, gli alienati dalla società, e più tardi ancora il luogo è stato adibito per l’accoglienza di sole donne, donne dalla condizione particolare, donne abbandonate dai propri cari perché dilaniate da una malattia dell’anima che spaventa l’intera società.
Su quell’isola, oltre al faro e alla chiesa, primeggia l’ospedale, luogo principale dell’intera narrazione. Tutte le pazienti, provenienti da mondi diversi e aventi ognuna una storia diversa, diventano una distesa omogenea di pianti, lacrime e grida, tutte trafitte da un’amara condanna, ossia la loro eterna permanenza in quel posto dimenticato da tutti.
Il lettore è accompagnato in quel mondo attraverso le storie di Kristina, Elli, Sigrid e Karin. Accomunate dall’essere donne ma ciascuna con un ruolo diverso.
Da un lato ci sono le pazienti, le pazze, quelle che delirano; dall’altro le infermiere, donne preposte alla cura e alla vigilanza di quei brandelli di carne impastati da uno spirito affogato nel lago della disperazione.
Kristina Andersonn, giovane ragazza abituata sin da piccola a subire la freddezza della madre, assume i connotati del personaggio appartenente alla tragedia classica. Lei, madre di due bambini, sconfitta dalla stanchezza e dall’assenza del suo compagno, lascia andare quei due corpi, che vengono ricevuti dalla scure acque del fiume. Per Kristina si aprono le porte dell’ospedale, dove intraprende un percorso tormentato.
Elli, anche lei giovane e proveniente da una famiglia benestante, per amore e per sfuggire agli appetiti sessuali del suo datore di lavoro rimane impigliata nelle strette maglie della sanità pubblica; lei che non conosce e non soffre di alcuna turba psichica. Il rapporto con la madre, unica a farle visita in quel luogo di disperazione e di stanchezza esistenziale, risulta ammantato da un’aurea di soggezione e di totale dipendenza della giovane.
Sigrid, giovane infermiera, prende idealmente il testimone narrativo da Kristina e porta il lettore a sondare il mondo delle emozioni, della paura di non uscire più da quel luogo che diventa casa per molte di quelle pazienti abbandonate.
Johanna Holmstrom, se pur marginalmente, affronta il dramma della guerra, la brutalità della legge del fronte, la morte che arriva inesorabilmente anche su quell’isola dimenticata e non toccata dalla devastazione.
Il confine tra il mondo al di fuori di quell’isola e quello dei corridoi e delle stanze dell’ospedale è una costante direttrice dell’intera vicenda narrata, delle storie raccontate che si intrecciano fino a formare un mosaico dell’animo umano.
Il finale è un dolce sguardo rivolto al passato, a quelle esistenze così tormentate e così impaurite nell’affrontare il mondo di fuori. Elli e Karin sono il frutto migliore di tutto quel soffrire, una prospettiva di rinascita e una solida consapevolezza del proprio io.
Un romanzo da leggere avendo la forza ed il coraggio di esplorare terreni bui e senza colori, il nero che imprigiona delle anime fragili e bisognose di amore.