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L’interprete, di Annette Hess

Come può essere accaduto che una scientifica distruzione di uomini possa essere stata tollerata da altri uomini? Come giustificare il silenzio del popolo tedesco di fronte alla barbarie dell’Olocausto? Il popolo tedesco è stata una massa informe che si è fatta dominare o si è fatta affascinare dal mito di una Germania invincibile e dominatrice del mondo?

L'interprete
L’interprete

Queste sono solo alcune delle domande ancora discusse dalla storiografia che ancora non hanno trovato, e forse mai troveranno, una sintesi che metta fine alla discussione sulla veridicità delle testimonianze e di quanto raccolto dai documenti ufficiali.

L’interprete, il romanzo di Annette Hess uscito per Neri Pozza (trad. di Chiara Ujka), ambientato nei primi anni Sessanta in una Francoforte imbevuta nel suo reticolato di industrie e commercio, porta il lettore a mettersi di fronte a queste domande attraverso gli occhi di Eva, protagonista e perno centrale dell’intera narrazione.

La vita di Eva scorre lenta nel rassicurante ambiente familiare: i genitori che gestiscono una trattoria, la sorella infermiera del reparto di neonatologia, e il fratellino, Stefan, avvolto nella calda coperta della fanciullezza. Una telefonata e una richiesta improvvisa, tuttavia, la spingono a guardare negli occhi il suo passato, e con esso il passato di un intero popolo.

Per un ostacolo burocratico si ritrova a dover sostituire una persona nel lavoro di interprete in un processo. Siamo negli anni Sessanta e la barbarie nazista, nonostante il breve periodo trascorso dal termine della Seconda Guerra Mondiale, era stata dimenticata.

Eva è un’interprete abituata a lavorare nel settore commerciale, abituata a spulciare contratti e a tradurre termini tecnici ed economici. L’aula di quel tribunale, ricostruito in un altro edificio per garantire il necessario spazio per il pubblico e gli addetti ai lavori, si prepara a celebrare il processo del secolo, si prepara a sollevare il velo della vergogna calato sugli occhi di ogni singolo tedesco. Lo Stato è infatti chiamato a giudicare l’operato di alcuni individui appartenenti alle SS all’interno del campo di sterminio di Auschwitz.

Annette Hess, attraverso lo sguardo smarrito di Eva, ci descrive i volti dei singoli imputati, signori attempati e avvolti in abiti eleganti, del tutto insensibili a ciò che viene raccontato durante le interminabili udienze in cui si snoda la vicenda processuale. La storia non si concentra solo sulle atrocità, sulle sevizie, sulle eliminazioni attraverso le camere a gas, ma fa entrare anche intrecci di vita quotidiana, di sentimenti che prendono Eva nei confronti di Jurgen, giovane rampollo appartenente a una famiglia di ricchi imprenditori.

Eva, sin da subito, dimostra un’autentica anima guerriera, facendo emergere alcuni tratti di un embrionale femminismo che sarebbe esploso negli anni successivi. Lei non si piega al conformismo borghese che vuole la donna del tutto asservita all’uomo. Le pressioni di Jurgen per convincerla a rinunciare al lavoro di interprete in quel processo non scalfiranno la volontà di questa giovane donna, che è consapevole di rivivere un errore che non sente cosi estraneo.

I racconti dei testimoni, senza dubbio, sono l’ossatura del romanzo. I volti degli imputati, delle loro mogli che assistono dalla tribuna, la frenesia dei reporter, condiscono le pagine di questa storia che, coraggiosamente, riaccende una ferita ancora non chiusa attraverso lo strumento penetrante della letteratura.

La consapevolezza di quanto accaduto, il contrastare la costruzione di una memoria amputata, del tutto orfana di una seria riflessione sulle responsabilità di un’intera nazione, vengono veicolate attraverso la storia di Eva, metafora di una giustizia che cala inesorabilmente il suo sguardo verso le meschinità umane. L’esperienza del processo e del sopralluogo effettuato ad Auschwitz saranno per Eva un doloroso percorso che la porterà a scoprire, o forse a riscoprire, ricordi che riemergono con tutta la loro violenza.

Chiunque non abbia vissuto quella distruzione e lacerazione umana finisce per ritrovarsi, giocoforza, nello sguardo sbalordito di Eva, tradita dalle sue più convinte sicurezze. Tutto doveva essere dimenticato, tutto doveva essere etichettato come menzogna, come esagerazione da parte di alcuni prigionieri sopravvissuti, interessati a percepire ingenti risarcimenti. La verità, invece, si fa strada attraverso il sacrificio di alcuni personaggi.

In questo romanzo si respira il contrasto, o forse una preoccupante contiguità, tra la guerra e il delirio nazista e gli anni Sessanta vissuti in una Germania divisa e confine ideologico e militare delle due grandi superpotenze. Tuttavia, nonostante questa enorme sfiducia nell’essere umano che emerge pagina dopo pagina, l’umanità riesce ad orientarsi verso principi universalistici come quello dell’amore.

“Il sentimento di amore in me è indistruttibile.”

È con queste parole che Eva si congeda dal lettore che, dopo aver letto il romanzo, acquisisce più consapevolezza rispetto ai grandi errori della storia e di quanto l’essere umano possa tramutarsi in bestia feroce e spietata.

Da leggere senza alcun dubbio.

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