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Le sette morti di Evelyn Hardcastle, di Stuart Turton

Un tempo indefinito. Il passare delle ore che, oramai da diversi anni, scandisce le dinamiche che ruotano attorno a Blackheath House, avvolgendo in una nebbia le tristi esistenze di chi vi abita.

Le sette morti di Evelyn Hardcastle
Le sette morti di Evelyn Hardcastle

In Le sette morti di Evelyn Hardcastle, di Stuart Turton (Neri Pozza, trad. di Federica Oddera), come in un gioco, tutto si ripete nella stessa maniera: ogni giorno alle undici di sera il tempo assapora la consueta vittima, la giovane Evelyn che, sgomenta, cade nello specchio d’acqua trafitta da una pallottola. Tutto ruota attorno alla soluzione di questo omicidio.

Il protagonista, Aiden Bishop, si ritrova imprigionato in questo crudele incastro. La sua missione, per riacquistare la libertà e riuscire ad allontanarsi da quell’edificio decadente, è quella di scoprire la mano assassina. Il tempo presente, fissato in un giro eterno delle ore che compongono la singola giornata, viene vissuto dal protagonista attraverso l’incarnazione in otto personaggi che compongono il reticolato di vite che popola l’edificio.

Man mano che scopre le regole di quel gioco, Aiden si trova a dover combattere con le personalità dei singoli personaggi provando sensazioni ed emozioni che non appartengono al suo io autentico. Ha perso la memoria, non conosce se stesso, non conosce il motivo della sua presenza in quel posto. E poi c’è quel giorno, durante il quale, come in un meccanismo preciso ed infallibile, vengono snocciolati i singoli avvenimenti fino a giungere al colpo di teatro, fino a giungere alla morte di Evelyn durante il ballo serale.

Grazie alla sapiente traduzione operata, il lettore si ritrova in un vortice di emozioni, vive l’esperienza della dissimulazione dell’io, dell’inganno e del pericolo costante della morte. L’edificio risulta una trappola nel tempo da cui Aiden desidera fuggire per ritrovare la normalità di una vita. Lo fa con Anna, o forse Annabelle, giovane donna che lo aiuta a riscoprire se stesso. Entrambi sono ignari di un passato che, durante l’evolversi dei fatti narrati, prende i contorni di un quadro dalle tinte fosche come le nuvole cariche di pioggia che accompagnano gran parte della giornata.

Non si tratta di un giallo classico, con una narrazione ben strutturata e che segue una certa logica. Turton, a parere mio, risulta un ingegnoso macchinatore e riesce a far perdere il senso della storia per poi, giunti alla fine, mostrare i collegamenti tra ogni elemento, in un’esplosione di verità che purifica tutto il marciume che trabocca da ogni angolo di Blackheath House. La risoluzione di un omicidio, la scoperta della barbarie, dell’invidia e della malvagità umana sono il prezzo da pagare per riappropriarsi della propria identità.

Due ombre, al termine dei giochi, si allungheranno nella notte che avvolge l’intera distesa. Soltanto due persone riusciranno a volgere lo sguardo guardando da lontano quel luogo infernale. Il gioco architettato da persone che rimangono senza identità rappresenta un modo per far scontare delle pene. Tutti si muovono nell’illusione di poter condizionare gli accadimenti della giornata. Ogni singolo personaggio indossa la maschera della vergogna e desidera uno spiraglio per approdare alla vera conoscenza del proprio io. È un romanzo assolutamente da leggere.

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