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Fratelli d’anima, di David Diop

Fratelli d'anima
Fratelli d’anima

“Cioccolatini dell’Africa nera”, li chiamava il capitano Armand.

Quelli come lui, Alfa Ndiaye, africano del Senegal, che ha lasciato il suo villaggio sul fiume per inseguire un sogno – errato – di avventura, per potersi fregiare del titolo di guerriero, per essere riconosciuto come cittadino francese e tornare da signore in mezzo alla gente del villaggio.

Peccato, però, che questa avventura sia una guerra.

La Grande Guerra. Una delle più cruente, dove non esistevano ancora armi di distruzione di massa e si combatteva corpo a corpo. E, proprio per questo, la guerra più crudele, dove vedi i pezzi di carne sparsi per terra, ascolti le urla di giovani come te, sforzandoti di guardare dall’altra parte, all’effimero rifugio della trincea, e porre come unico obiettivo la tua sopravvivenza, senza pensare, per non rischiare altrimenti sul serio di impazzire.

I fucilieri senegalesi arruolati nell’esercito francese erano ritenuti fondamentali, perché guerrieri per natura, gente senza paura.

L’avventura l’hanno tentata in due. Alfa e l’amico fraterno Mademba Diop, il suo opposto in tutto. Dove Alfa è bello, muscoloso, Mademba è gracile e brutto. Dove Alfa vanta il totem della sua famiglia – un leone – e il proprio coraggio, Mademba sembra non poter vantare mai qualcosa in più, come un brutto anatroccolo sbeffeggiato dal destino. Ed è proprio per questo che non lesina sforzi, la propria incoscienza, per andare contro il nemico e dimostrare di non essere un vigliacco.

Un giorno, Mademba viene ferito mortalmente e, con le budella all’aria, supplica Alfa di dargli il colpo di grazia. Ma Alfa conserva dentro sé gli insegnamenti dei saggi della sua terra, e non può fare quel che gli viene richiesto. Mademba, perciò, muore tra atroci sofferenze come abbandonato in terra straniera.

Ed è in quel momento che Alfa, risvegliatosi da un sonno di anni, comincia a pensare con la propria testa, a capire che tutto quel che lo circonda non è come se l’aspettava, e combattere in una guerra simile non è come andare a caccia, e mostrare coraggio non basta.

La morte di Mademba, ma ancor di più il rimorso terribile, l’accompagnano nei giorni seguenti, trasformandolo in una belva assetata di sangue, un individuo che comincia a far incetta di orribili trofei del nemico, ed è per questo temuto anche dai propri commilitoni.

Col suo fare, Alfa cerca inutilmente di esorcizzare il dolore, ma presto comprende che la sua esistenza rischia di diventare una voragine senza fondo, un turbine inesauribile, una peccato senza fine. E affonda le radici nel ricordo della patria, di sua madre che l’aveva lasciato piccino per andare alla ricerca della sua tribù scomparsa, e scomparsa a sua volta nel nulla di una terra sconfinata. Della saggezza di suo padre. E ancora, il dolce sapore del primo amore, della prima donna, la bellissima Fary, abbracciata e violata allo stesso tempo in un bosco di ebani, nel buio di una notte magica poco prima di partire per la guerra. Fary sapeva che, se non fosse morto, Alfa non sarebbe comunque tornato più al villaggio, e perciò

…Fary ha fatto di me un uomo compiuto prima che andassi a offrire il mio bel corpo di lottatore ai sanguinosi colpi della guerra…

Allo stesso tempo, il ragazzo capisce quanto invece sia rimasto a soffrire Mademba, perché Fary aveva scelto l’altro. E Alfa capisce quanto sa essere ingiusto il mondo, che riserva il molto a pochi, il poco a tanti e il nulla ad altrettanti figli del nulla.

David Diop, con Fratelli d’anima (Neri Pozza, trad. di Giovanni Bogliolo), suo secondo romanzo, ha vinto il Premio Goncourt Des Lycéens 2018, definito in ambito editoriale come il Premio Strega Europeo.

Un libro che si divora, una lingua di dura poesia, capace di emozionare anche Ben Jelloun, e che rimanda all’ancestrale tradizione africana, raccontando l’orrore della guerra, la disillusione dei giovani e l’errore eterno della violenza, la smaterializzazione dell’essere umano, divenuto solo un involucro di carne da combattere, sangue da sacrificare, vita da bere come assurdi vampiri delle notti di battaglia.

L’occhio di un uomo che capisce quanto sbagliato possa essere il pensiero altrui, specie se scopriamo la dura verità sulla nostra pelle, e ci bruciamo col dolore nostro o, peggio ancora, di qualcuno a cui vogliamo bene.

Qualcuno che porteremo sempre con noi, nella colpa e nel ricordo.

Qualcuno che ameremo per quello che lui non ha avuto, e noi sì.

Come un fratello.

Un fratello d’anima.

Enzo D'Andrea

Enzo D’Andrea è un geologo che interpone alle attività lavorative la grande passione per la scrittura. Come tale, definendosi senza falsa modestia “Il più grande scrittore al di qua del pianerottolo di casa”, ha scritto molti racconti e due romanzi: “Le Formiche di Piombo” e "L'uomo che vendeva palloncini", di recente pubblicazione. Non ha un genere e uno stile fisso e definito, perché ama svisceratamente molti generi letterari e allo stesso tempo cerca di carpire i segreti dei più grandi scrittori. Oltre che su MeLoLeggo, scrive di letteratura sul blog @atmosphere.a.warm.place, e si permette anche il lusso di leggere e leggere. Di tutto: dai fumetti (che possiede a migliaia) ai libri (che possiede quasi a migliaia). Difficile trovare qualcosa che non l’abbia colpito nelle cose che legge, così è piacevole discuterne con lui, perché sarà sempre in grado di fornire una sua opinione e, se sarete fortunati, potrebbe anche essere d’accordo con voi. Ama tanto la musica, essendo stato chitarrista e cantante in gruppi rock e attualmente ripiegato in prevalenza sull’ascolto (dei tanti cd che possiede, manco a dirlo, a migliaia). Cosa fa su MeLoLeggo? cerca di fornire qualcosa di differente dalle recensioni classiche, preferendo scrivere in modo da colpire il lettore, per pubblicizzare ad arte ciò che merita di essere diffuso in un Paese in cui troppo spesso si trascura una bellissima possibilità: quella di viaggiare con la mente e tornare ragazzi con un bel libro da sfogliare.

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