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Ouatann. Ombre sul mare, di Azza Filali

Davanti la baia di Algeri, la vita cambiò, la luce lo colpì al cuore per non lasciarlo più. Tra i vicoli della Casbah ebbro di sole, di odori, di suoni aveva trovato il suo paese …

Ouatann. Ombre sul mare
Ouatann. Ombre sul mare

Gabbiani a pelo d’acqua sorvolano l’aria tiepida e queste pagine. Togliere le scarpe, spogliarsi di abiti e preconcetti, immergersi in quella linfa bianca, raccolti tra le parole sospinte dal vento. Il vento spinge, il vento decide la direzione, la forza. Il mare culla, il vento sorregge e porta con sé ogni cosa, odori, voci, ombre…

Tunisia, quella delle rivoluzioni e del dopo, quella del sangue tamponato dai ricordi, quella dei turisti che sorridono e vanno via, scattano istantanee, lasciano istantanei passi, illusioni di vita, e poi abbandonano gli abitanti fermi a fissare il mare, cullati dall’idea di andare via, dal dolore di andare via. Nessuno vorrebbe realmente andare, anche se via, due passi più in là, c’è l’approdo delle opportunità.

Un luogo ammorbato dalla corruzione, dall’imbroglio; dedalo di vicoli, colori, mercanti arrostiti dal sole, rumori di gente, la spiaggia, il mare più bello di quello delle brochure, e la polvere delle città dimenticate, quelle che dopo le rivolte si sono risvegliate nell’illusione che il mondo si accorgesse di loro. Non è stato così, non è stato per tutti così e per tanti andare è sembrato una tappa obbligata. C’è anche questo tra i sandali e i sorrisi dei turisti, quella Lampedusa di sbarchi che riempiono i giornali, quotidiani flash di giorni conosciuti, tangibili, reali.

Oggi Azza Filali, con Ouatann. Ombre sul mare (Fazi Editore, con traduzione di Maurizio Ferrara) ci dona le sue parole, colma le pagine di malinconie che sanno di abbandoni e di ritrovi, di delusione e di spinta a cercare forme di riscatto, di altre porte tra le porte chiuse in faccia dal malaffare, di tracce di amori possibili. Possibilità di ricordare, possibilità di dimenticare: per vivere possono servire entrambe.

Una villa, crocevia di volti e storie intrecciate, una villa aggrappata a resistere al mare, al vento, agli uomini e ai loro loschi interessi, guarda con occhi umani i suoi abitanti spiaggiati, alla deriva: una donna coraggiosa e fragile che cerca di stare a galla in un mondo di uomini che vorrebbe travolgerla, un uomo che ha pagato per i suoi traffici ma non abbastanza, un altro senza più scosse e interessi e che per denaro probabilmente venderebbe l’anima, altri a cullare il sogno di una redenzione lontano dalla strettoia di vita che si para davanti a loro, un uomo violento capace anche di essere altro. L’autrice regala più facce a quei volti, ché come nella realtà nessuno ha veramente mai una sola forma unica di bontà o cattiveria. Chi arriva, chi parte, chi resiste, chi approda in una luce di finta libertà. La coscienza guida tutti come il vento sferzante, non si arresta mai. Ancorato tra quelle mura, l’ultimo francese rimasto al villaggio anche lui resiste a tutto, persino alla morte, e prosegue scortando quegli abitanti dispersi e disperati dal luogo in cui è sepolto col fedele cane. Morto e più vivo che mai, assente e ancora aggrappato e sospeso, è una delle tante ombre che si muovono tra una camera e l’altra, tra la sabbia e il mare; osserva dal suo buco sotterrato gli imbrogli degli uomini che non arricchiscono mai veramente, che giocano a carte il destino, spendendosi tra un bar e una fuga di mare.

Il canto che accompagna queste terre è scandito dai ricordi, salmodia ipnotica di una madre che perde pezzi di memoria e di vita, cerca le vesti da intrecciare ai suoi vocalizzi, tessuti da annodare legando il presente alla tradizione di ieri. Una donna coraggiosa, voce che narra, ascolta quei canti senza quasi essere più riconosciuta come figlia, il suo affetto disperso di figlia che quasi diventa la madre di sua madre proteggendola, abbracciandola, cercando abbracci e protezione lei stessa, e riscatto tra chi dice “qui le donne restano a casa”. Posto per chi cerca, per chi vuole altro, non ce n’è, tra questi vicoletti stretti che odorano di tradizioni, di incenso, di passaggi di vita da capire. Ricerca di un’identità, di una forma di amore possibile che non leghi o neghi la vita.

Azza Filali
Azza Filali

A un passo dal mondo dei ricchi, fatto di case e piscine, c’è la vita seduta dei giovani che bramano un futuro, perdono il tempo tra un bar e l’altro, sognano una vita possibile che passi per un imbarco di fortuna. Piegano la schiena alla bruttura perché “tutti fanno così”. Chi guarda oltre il mare scruta lontano, fortunato chi passa, ricco forse chi gestisce. La corruzione, il delirio del denaro, c’è tutto, tra queste pagine, a suo modo anche l’affetto, che poco rassomiglia al sesso quasi obbligato delle donne in cui non vorresti riconoscerti, quelle sospese, quelle velate, quelle col futuro deciso da altri. Eppure la capacità di creare empatia dell’autrice riesce a dare, restituendola, l’anima di una donna che si chiude al mondo dietro il velo, che allontana il mondo da se stessa, e si può persino credere di poter capire.

In attesa che qualcuno costruisca una strada, una possibilità, raccogliamo una trama intrecciata a un nero, sfumato trattato con la lieve ironia che illumina anche l’antro dell’anima più scura, dandole un barlume di senso, senza mai affondare in un percorso unico. Qui c’è la vita, come dice la stessa autrice, fatta di strade traverse, non sempre di percorsi immobili che portano le persone lontano da dove sono partite, cambiandole. Frammentando i percorsi, si cambia e nel porsi domande, “perché andare via? Che senso può avere?”, si cresce.

La bravura di queste costruzioni dona immagini di altra scrittura, evocazioni di quel famoso realismo magico di altre mani, accostando umani veritieri ad altri che si mostrano in forme quasi evanescenti, comparizioni oniriche. Su tutto, una malinconia che fa bene al cuore, che lo medica accogliendo il dolore.

Recentemente uno scrittore americano scriveva “cerco un termine che indichi quel senso di malinconia che prende quando termina un grande libro. Quella parola non esiste”. Non esiste nemmeno una parola che traduca letteralmente Ouatann: essa racconta di paesi, definisce un luogo e tutti i luoghi, gli abitanti e il loro modo di essere; non c’è una sola parola sempre, ma tante, non c’è un solo percorso da seguire sempre, ma tanti, e se la protagonista narrante decide del suo futuro sorprendendoci quando ha da scegliere se restare o andare, forse esiste la possibilità di resistere nel cercare quello che non si trova, quasi sempre.

Stefania Castella

Mi chiamo Stefania e sono nata a Napoli da padre con occhi trasparenti e madre con lunghissimi capelli biondi e gonnellone hippy. Non so perché ve lo dico, solo perché tutti scriviamo dove nasciamo e nessuno da chi. Sono grafica pubblicitaria e soprattutto mamma a tempo pieno e indeterminato. Scrivo da quando ho imparato, leggo da sempre e ascolto da molto di più. Mi piace leggere e raccontare storie, dare voce. Scrivere è la mia esigenza, la mia necessità. Mi piace raccontare ciò che ho letto cercando di trasmettere l'emozione che ho provato, lasciandovi entrare nel viaggio che ogni scrittore regala. Se questo si chiama recensire, allora recensisco. Cosa fa su MeLoLeggo? Quello che amo fare: immergermi in una storia di carta, con rispetto e onestà, affiancandomi con voi alle pagine e percorrendo lo stesso bellissimo sogno. Ogni scrittore partorisce le sue creature con amore e fatica, quello che possiamo fare è raccogliere la sua storia. Se una storia non piace non si può stroncarla, solo evitare di raccoglierla, no?

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