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“Chi si firma è perduto” | Intervista con Jonathan Giustini

Chi si firma è perduto – Ennio De Concini: memorie di un fallito di successo è un libro su un gigante del cinema, Ennio De Concini appunto, intervistato dal critico Jonathan Giustini 25 anni fa e uscito solo adesso, presso Iacobelli Editore. Sul perché ci abbia messo così tanto a uscire, lo spiega bene Giustini nel libro e nell’intervista qui sotto, sul chi sia Ennio De Concini, nome che a prima vista oggi può dire poco, mi basta citare Divorzio all’italiana per il cinema e La Piovra per la tv.

Il film di Pietro Germi, con una giovanissima Stefania Sandrelli, che sorride dalla copertina del libro, valse a De Concini l’Oscar come migliore sceneggiatura originale e un successo mondiale. Diventò uno degli sceneggiatori più richiesti e pagati, vivendo tra la Russia di Kruscev e la Swinging London, conoscendo personaggi divenuti miti, collaborando o stringendo amicizia con Polanski, Kubrick, vivendo in prima linea la Storia. E dopo avere vissuto una vita nel cinema, iniziò a collaborare con la tv, prima con la RAI e La Piovra e poi con le reti Mediaset, confermandosi abile scrittore di storie di gran successo.

Il bello di questo libro è che Ennio De Concini non provava entusiasmo a raccontare tutte queste storie, anzi, pareva quasi infastidito. Di fronte a un giovane critico pieno di entusiasmo e conoscenza della materia, lo smontava. Per lui la sceneggiatura non era niente, solo un qualcosa per dare inizio al film, che poi passava nelle mani di registi e produzione, diventando qualcosa d’altro. Il libro appare come una sorta di seduta di psicanalisi con un paziente svogliato, ma il risultato è stupefacente. Sembra di vedere un film, anzi, credo che ne uscirebbe un bel film, nonostante il poco interesse di De Concini, che nel frattempo è morto nel 2008.

Jonathan Giustini, giornalista e scrittore tra cinema e musica, ha fatto bene alla fine a pubblicarlo oggi. In questa intervista fiume ci rivela il perché di questo Chi si firma è perduto, libro utile per capire la società dello spettacolo.

Chi si firma è perduto
Chi si firma è perduto

Perché un libro su Ennio De Concini?

Non c’è una ragione specifica oggi. Trattasi di un libro che avevo scritto 25 anni fa e che era rimasto sepolto in un cassetto. Forse troppo strano per l’epoca. Una sorta di incontro/analisi/scontro tra un giovane giornalista e un anziano signore che aveva fatto la Storia del cinema. Mi affascinava la sua storia, fatta di negazioni, di non ricordo, di strani c’ero e non c’ero. Era come una patina dietro la quale doveva per forza nascondersi un’altra verità. Una diversa e differente Storia del cinema. Una sorta di mistificazione ad arte che doveva rivelare un’altra verità. Rimasi affascinato da quest’uomo così strano, così travolgente e che pensavo mi avrebbe raccontato la Storia del cinema e invece negava tutto; diceva non c’ero e se c’ero dormivo. Quel film non l’ho fatto e di quell’altro non ricordo nulla. Al posto suo altri uomini sarebbero stati giornate su passaggi che lui liquidava in una battuta. Mi affascinava questo personaggio al negativo, questa strana figura che sembrava uscita dalle pagine de Le memorie del sottosuolo. Perché poi invece era torrenziale, simpatico all’estremo, burlone e geniale. Insomma un uomo come non ho più incontrato in tutta la mia vita. Unico. Indimenticabile. La sua lezione si è sedimentata dentro di me e me la porto dentro, gelosamente, come un diamante prezioso che brilla nelle mie notti oscure.

Perché ci hai messo così tanto a pubblicarlo?

L’arroganza dei vent’anni mi fece rifiutare la richiesta di un grosso editore di riscriverlo. Ero sotto contratto e quando consegnai il manoscritto mi chiesero di rifarlo da capo: secondo loro il libro non aveva un capo né una coda. Non era una storia del cinema codificata: gli appariva come un flusso di coscienza, informe, scomposto. Rifiutai di riscriverlo. Quest’uomo mi ha consegnato la sua vita e io non la cambio perché a voi non garba. Pazienza. Mi ripresi il manoscritto e me ne tornai da dove ero venuto. Ma la delusione fu forte. Ci avevo lavorato tre anni. Così presi il manoscritto, lo chiusi in un cassetto e li è rimasto per 25 anni. Finché un amico editore, Francesco Coniglio, ha deciso di pubblicarlo senza cambiarlo di una virgola. A quel punto mi sono deciso. E gliel’ho regalato. Erano passati 25 anni e andava bene cosi. Ho pensato che Ennio ne avrebbe molto riso e avrebbe approvato.

Il sottotitolo recita: Ennio De Concini – Memorie di un fallito di successo. Leggendolo si capisce il perché di questa strana definizione… anche se pare incredibile.

Ennio De Concini si reputava un fallito di successo di fronte alle sue istanze morali. Perché aveva intrapreso e portato avanti, per soldi, un mestiere che fin dal primo momento odiava. Quello dello sceneggiatore. Lui voleva fare lo scrittore da giovane. Il problema arrivò quando, quasi fin da subito, ebbe un enorme successo, fino a vincere l’Oscar per Divorzio all’Italiana. Più faceva cinema e più aveva successo: La Piovra, i film mitologici, i lavori con Kubrick, Polanski, in Russia per conto di Togliatti. Tutti lo volevano e lo perseguitavano per scrivere storie, mettere una firma a destra, a sinistra. Il film si faceva se lui c’era. Più aveva successo e più odiava il cinema. Aveva perso la qualità della scrittura. E quando si rese conto che non l’avrebbe più recuperata, alla fine arrivarono la disperazione e il delirio. Pur continuando a vivere una vita ricca, operosa, divertente, folle. Circondandosi di arte, amori, libri e incontri.

Odiava ciò che lo rendeva ricco e famoso. Fino ad arrivare a voler sparire dalle sue stesse sceneggiature. Prima mi paghi e più mi paghi e subito io firmo e scompaio. I film si facevano se lui li firmava. E dunque spesso, come Schifano, firmava sceneggiature che non aveva quasi mai fatto.

La sceneggiatura non esisteva, diceva: non esiste come genere, che genere sarebbe? Che leggi? La sceneggiatura è solo una rotella di un ingranaggio più grande. I film, diceva, sono il nulla, troppe mani, troppi passaggi, troppi filtri. Tutto si perde. Tutto svanisce e poi sono segnati dal tempo, il tempo si deposita sui film come una polvere radioattiva e li polverizza. Era spietato, ma affascinante.

 Come ti sei documentato all’epoca per scrivere il libro? Il web non era allora così diffuso e invasivo…

Semplicemente leggendo, studiando. Avevo una forte cultura cinematografica, avendo studiato con Guido Aristarco e venendo da un’infanzia passata sui set cinematografici, grazie al lavoro di mio padre, Maurizio Giustini, che è stato uno dei più grandi truccatori del cinema italiano. Da quando ero bambino ho vissuto sui set e tanti registi di cui Ennio poi mi avrebbe parlato li ho conosciuti facendo la comparsa nei loro film: Damiano Damiani, Franco Rossi, Corbucci, ho conosciuto Gillo Pontecorvo, Citto Maselli e tanti altri. Amavo il cinema e ho passato tutta la mia adolescenza nelle sale dei cineclub, le notti, i pomeriggi. Quando ho conosciuto Ennio ero infarcito di cinema come un tacchino ripieno. Venivo dalla famosa intervista di Truffaut ad Hitchcock. Lo utilizzavo come livre de chevet. Ennio rideva, rideva, rideva. Gli piaceva questo giovane biografo illuso, speranzoso, romantico… ma che sapeva ascoltarlo, sapeva stimolarlo, sapeva farlo incazzare. Adorava incazzarsi con me. Era uno scontro duro. Ero coriaceo.

Come si sono svolte queste interviste? … che devono essere state molte, vista la ritrosia del De Concini a raccontare.

Abbiamo tenuto una frequenza di almeno due incontri a settimana, lunghissimi, interminabili. Erano diventate delle vere e proprie sedute di psicoanalisi. Lui il mio paziente e io il giovane analista rigoroso, infarcito di dottrina. Viaggiavo con appunti, testi al seguito. Leggevo molto dalla sua stessa sterminata biblioteca. Rubavo con gli occhi, cercavo informazioni. Qualche volta lo raggiungevo in montagna nella sua casa di Albaneto, in provincia di Rieti. dove spesso si ritirava. Parlavamo completamente al buio. Calava la notte e noi continuavamo in questo scontro interminabile. Registravo tutto su delle musicassette, che ho impiegato mesi a sbobinare. Migliaia di cartelle che poi ho tagliato, rimontato, invertito. Poi il suo parlato l’ho ripreso, aggiustato, rivisto. Lui, maestro dei dialoghi, che veniva riscritto per un libro che era la sceneggiatura della sua stessa vita. A volte parlavamo e basta. Non riuscivo a registrare. Non potevo. A volte stavamo anche completamente in silenzio. Come due folli.

Mi resi conto che aveva bisogno di me. Di questo suo giovane amico analista che tanto lo faceva a volte arrabbiare, come ridere e sorridere. Era bello. Ora che ci penso, è stato straordinario tutto questo.

C’è qualcosa che avresti voluto chiedere, ma non sei riuscito?

No, a pensarci gli ho chiesto tutto quello che si poteva chiedere. Persino il privato che poi ho deciso di non mettere. La storia di suo figlio Riccardo. I suoi amori. Forse ora, a pensarci bene, avrei voluto parlare di più di arte. Aveva una delle più belle e raffinate collezioni di arte contemporanea che abbia mai visto nella mia vita: Kandinsky, Klee, Permeke, Guttuso, De Pisis, Mafai, Mondrian, Magritte…..oggetti dell’epoca cambriana, del pleistocene. Icone russe stupende di diversi secoli. Pietre esoteriche e una biblioteca di manoscritti, edizioni rare, autografi di Rilke, di Adorno, di Pasolini, Moravia… Mi perdevo in questa babele meravigliosa che era alla mia portata. E la respiravo, potevo toccarla. La Fiera Letteraria dove aveva lavorato come giovane caporedattore, i bozzetti di quei pittori, De Pisis, Severini…

Non ci sono foto in questo libro, come mai? … e in copertina la Stefania Sandrelli di Divorzio all’italiana, il suo più grande successo al cinema.

Non ci son foto perché le immagini non contano. Conta l’uomo. La sua storia, le sue parole. Lui è un’ombra che passa sullo schermo del tempo e non imprime colore o densità fisica. È tutto flow, un flusso di coscienza, una rapinosa slapstick. Lui si considerava brutto, non amava guardarsi allo specchio. Esistono pochissime foto di Ennio. Era la parola sovrana. Un uomo di cinema che distrugge e rinnega le immagini in nome della parola. Suprema irrisione e artificio del suo aereofuturismo giovanile. Già, perché a 18 anni pubblica il primo libro di poesie con la prefazione del Vate, Filippo Tommaso Marinetti.

Il rapporto con la politica viene solo toccato, però si capisce che De Concini ha militato a sinistra. Viene da chiedersi perché, a fine di una brillante carriera, lavorò molto con le reti di Berlusconi?

Si piacevano, con Berlusconi. Si stavano simpatici. Lui fece guadagnare molto a Mediaset. E Mediaset gli diede la possibilità di scrivere tanti romanzi popolari per il cinema. La televisione fu per Ennio come una rinascita improvvisa. Gli si aprirono di nuovo gli occhi, scoperse una nuova dimensione narrativa. Insomma visse la televisione con un entusiasmo quasi infantile, come credendoci, quasi illudendosi che forse nella vita ci sarebbe potuta essere un’altra possibilità e un’altra scrittura. Berlusconi gli aprì questo scorcio, come la Rai, e lui era felice. Si divertiva a scrivere per la tv, anche se poi finì per odiare ferocemente anche la televisione.

Ha vissuto la Resistenza, era nei Gup, amico di Togliatti, di Alicata e di tanti grandi politici. Amico di Kruscev quando visse a Mosca per anni ed anni. Aveva libero accesso al Cremlino. Uno che ha partecipato alla liberazione di Roma, fatto la Resistenza, conosciuti tutti passo passo, la politica l’ha vissuta facendola, non perdendo tempo a parlarne. Questo era Ennio. Si portava tra le mani la Storia.

Progetti di futuri libri?

È’ appena uscito un altro libro di cinema: Fellini Inedito. 65 fotografie svelate dalla lavorazione e sopralluogo al Divino Amore per Le Notti di Cabiria di Fellini, Un libro che mi è piovuto dal cielo. Ho ritrovato a casa di un’anziana signora queste foto inedite di Fellini e del suo assistente all’epoca, Paolo Nuzzi. Le ho studiate e, quando ho capito che si trattava di un ritrovamento importante, ci ho fatto un libro sopra. Un regalo che mi è capitato. Fellini con Don Terenzi, oggi in via di canonizzazione. Ho avuto l’onore di aprire le celebrazioni per i 100 di Fellini a Rimini al Cinema Fulgor. Per il futuro immediato sto scrivendo di arte, curando delle mostre di musicisti che sono anche pittori. Un filone interessante. Usciranno dei cataloghi sparsi via via con questi miei scritti d’arte.

Diego Alligatore

Diego Alligatore è critico rock del web dalla lontana estate del 2003, quando ha iniziato a scrivere di rock indipendente italico sul portale della nota agenda Smemoranda. Da allora non ha più smesso, intervistando e recensendo centinaia di gruppi dell'underground di casa nostra, oltre che su Smemoranda.it anche sul BLOG DELL'ALLIGATORE, su Frigidaire e Il Nuovo Male cartacei. A gennaio 2018 fonda con la sua compagna Elle L'ORTO DI ELLE E ALLI, sito di orto bio e culture alternative, cose curate insieme con passione autentiche. In tutti questi posti non ha mai dimenticato che anche la letteratura può essere rock, parlando con giovani scrittori italici, recensendone libri, incontrandoli in alcune presentazioni. Nel 2021 è uscito con Arcana il suo "Giovani, musicanti e disoccupati", libro di interviste a musicanti indipendenti durante il lockdown del 2020. Cosa fa su MeLoLeggo? Continuerà a cercare giovani autori, parlando con loro di buoni libri, perché la vita è troppo breve per sprecarla con cattive letture.

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