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Recensione: Buono da mangiare, di Marvin Harris

Buono da mangiare
Buono da mangiare

È un argomento di cui si parla, si riparla, si straparla a ogni livello: mediatico, scientifico, nutrizionale, religioso e socio-politico. Perché è vero comunque che il mangiare non consiste solo nel semplice gesto di farsi un panino fuori di casa in pausa pranzo, accostarsi a una tavola imbandita e papparsi un bel piatto di maccheroni fumanti, un pollo arrosto o una fetta di dolce. Dietro ogni abitudine alimentare dei popoli della terra c’è sempre una spiegazione. Trovarla fa però parte di riflessioni mai superficiali. Lo studio che Harris conduce e le conclusioni che con brillantezza e sagacia, chiarezza e leggerezza di stile propone nel libro parlano proprio di questo.

Ecco quindi un magico scorrere di pagine in cui, con uno stile mai pesante e che difficilmente annoia, ci viene dispiegato un lunghissimo tappeto di informazioni, curiosità, che variano dal sociologico al religioso, dal tecnico all’analisi delle motivazioni storiche che hanno creato usanze e tabù alimentari. L’autore è un antropologo statunitense che nel suo eloquio non disdegna e non ha paura nemmeno di analizzare un argomento del tutto delicato come quello del cannibalismo, fornendo spiegazioni e notizie storiche, testimonianze e concetti che trattano il concetto di “cannibale” con competenza e tatto.

Dal sito dell’Einaudi si legge:

Perché alcuni mangiano cani, gatti e dingo, mentre altri evitano la carne di mucca, maiale o cavallo? Perché alcuni odiano il latte e i suoi derivati, mentre altri considerano cibo prelibato lombrichi e cavallette? Perché le abitudini alimentari dei popoli cambiano nel tempo e sono così diverse?”

Marvin Harris riesce quindi a fornire un testo in cui le ragioni per capire ciò che mangiamo non sono più solo ideologiche. Egli dimostra, dati alla mano, come la nostra avversione verso determinati cibi e il nostro gradimento verso altri dipendono a volte da ragioni puramente fisiologiche, a volte da ragioni ambientali o da una razionale organizzazione delle risorse disponibili, e non da dogmi di fede (qualunque fede religiosa esistente sulla terra non spiega del tutto certe abitudini alimentari, nemmeno dietro la favola dei “divieti”).

Questo libro va letto perché è un grande esempio di tolleranza, una grande prova di come tutti i popoli debbano essere compresi e rispettati per le proprie abitudini e cultura. Anche perché, come sottolinea spesso l’autore, nel corso della storia può sempre succedere qualcosa che ci potrebbe indurre a rivedere le nostre convinzioni in materia. In ultimo, mi preme ringraziare Domenico Eugenio Marchese, un amico e collega che mi ha consigliato questo libro, facendomi accostare a un argomento che mi è nuovo, nonché a un tipo di letteratura (la saggistica) cui un po’ troppo spesso rifuggo.

Enzo D'Andrea

Enzo D’Andrea è un geologo che interpone alle attività lavorative la grande passione per la scrittura. Come tale, definendosi senza falsa modestia “Il più grande scrittore al di qua del pianerottolo di casa”, ha scritto molti racconti e due romanzi: “Le Formiche di Piombo” e "L'uomo che vendeva palloncini", di recente pubblicazione. Non ha un genere e uno stile fisso e definito, perché ama svisceratamente molti generi letterari e allo stesso tempo cerca di carpire i segreti dei più grandi scrittori. Oltre che su MeLoLeggo, scrive di letteratura sul blog @atmosphere.a.warm.place, e si permette anche il lusso di leggere e leggere. Di tutto: dai fumetti (che possiede a migliaia) ai libri (che possiede quasi a migliaia). Difficile trovare qualcosa che non l’abbia colpito nelle cose che legge, così è piacevole discuterne con lui, perché sarà sempre in grado di fornire una sua opinione e, se sarete fortunati, potrebbe anche essere d’accordo con voi. Ama tanto la musica, essendo stato chitarrista e cantante in gruppi rock e attualmente ripiegato in prevalenza sull’ascolto (dei tanti cd che possiede, manco a dirlo, a migliaia). Cosa fa su MeLoLeggo? cerca di fornire qualcosa di differente dalle recensioni classiche, preferendo scrivere in modo da colpire il lettore, per pubblicizzare ad arte ciò che merita di essere diffuso in un Paese in cui troppo spesso si trascura una bellissima possibilità: quella di viaggiare con la mente e tornare ragazzi con un bel libro da sfogliare.

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