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Mi sa che fuori è primavera, di Concita De Gregorio

Mi sa che fuori è primavera
Mi sa che fuori è primavera

Non si è mai abbastanza pronti a libri che portano alla luce tutta la crudeltà di cui è capace la vita, ma vi sono momenti nei quali si sente comunque il bisogno di lasciare il guscio protetto della quotidianità e tuffarsi nelle acque gelide e impervie del mondo là fuori.

Quando ho iniziato la lettura di Mi sa che fuori è primavera (Feltrinelli), l’ultimo libro di Concita De Gregorio, le mie consapevolezze si fermavano a due punti: mi sarei accostata a un tema duro, difficile, a tratti stremante ma sarei stata condotta nel percorso dalla prosa di un’autrice che amo profondamente. Ciò a cui non ero minimamente preparata è stata invece la scoperta, via via che le pagine scorrevano sotto i miei occhi, di trovarmi davanti a una storia vera. Concita De Gregorio incontra Irina, una donna italiana residente in Svizzera, vittima della follia di un marito che le ha portato via le figlie facendo perdere le loro tracce e poi suicidandosi. Dal 2011 Irina vive un’esistenza da “madre orfana”: Alessia e Livia, le gemelle di allora sei anni, non sono mai state ritrovate.

Concita De Gregorio racconta ciò che il mero fatto di cronaca relega nel buio: i meccanismi della mente che si scatenano in una donna privata dei suoi figli e lasciata sola, senza risposte, appoggio, tutela, e la rabbia, il senso di impotenza, il bisogno naturale quanto involontario di tornare poi alla vita senza però mai dimenticare. Attraverso un continuo, magistrale salto di piani temporali il lettore incontra Irina nelle diverse fasi emotive della sua vicenda e ne viene completamente fagocitato. I fatti di cronaca, le indagini, lo scorrere degli eventi non trovano spazio in questa opera che è interamente dedicata invece al fattore umano, a ciò che vi è dietro un evento così drammatico. Si esce da questa lettura spossati, scossi, in pieno coinvolgimento emotivo, un coinvolgimento fatto di utile dolore ma anche di speranza, verso una vita che non sempre ci fornisce ragioni di ciò che abbatte su di noi ma che al contempo ci rende capaci di sopportare anche i dolori più grandi e sopravvivere.

Si ha nostalgia delle persone, non delle categorie. Di tua nonna, proprio lei, non delle nonne. Di tuo padre, non di un padre. Alessia e Livia non sono bambine: sono Alessia e Livia. Non mi mancano i figli: mi mancano loro. L’assenza è una presenza costante: ti sfida in un corpo a corpo quotidiano, ti assedia. Ti vuole nella lotta, misura il tuo respiro. La nostalgia è fisica, poi. È proprio impossibile colmare la mancanza di un corpo vivo: quell’odore, quella morbidezza della pelle, quella voce quando ti chiama. Quel tipo di resistenza docile all’abbraccio, quel modo di piegare il collo. Non c’è niente, nessuno che possa sostituire l’assenza di qualcuno. Solo il sogno. Quando tornano profumate e vive nei sogni, con i corpi e con le voci. Sono felice quando le sogno. Mi sveglio felice.

Roberta Taverna

Di giorno Roberta Taverna, dottoressa in giurisprudenza , corre tra un’aula di tribunale e l’altra, mentre la sera si dedica al primo grande amore della sua vita: i libri. Lettrice instancabile, fa scorrere tra le sue dita le pagine di centinaia di libri ogni anno; legge in treno, mentre corre sul tapis roulant in palestra, camminando per strada… Predilige i romanzi contemporanei stranieri, con qualche ciclica capatina tra classici dell’Ottocento. Ha frequentato corsi di giornalismo e di scrittura comico-creativa, ha collaborato con alcune testate locali e ha fatto parte della giuria del concorso letterario Casa Sanremo Writers 2014. Ha creato e coordina il sito letterario Inkbooks. Cosa fa su MeLoLeggo? Legge molto, cerca di smaltire la pila infinita di volumi che si moltiplicano inspiegabilmente ogni giorno sugli scaffali di casa e recensisce tutto ciò che scopre imperdibile.

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