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Il figlio prediletto, di Angela Nanetti

Che mio padre fosse della ’ndrina l’avevo capito da tempo, ma finché stavo al paese non me n’ero curata. Non ti accorgi dell’aria che respiri, la respiri e basta. E se poi ne respiri una migliore pensi solo a riempirti i polmoni. […] Conoscevo quella violenza, nel mio paese l’avevo vista: scritta sui muri delle case, sulle porte che la notte si mettevano a parlare, nelle auto che andavano a fuoco. Nelle pecore sgozzate negli ovili o nei muli azzoppati. «Chi jiesti? Chi fu?» Anche nei silenzi di don Vincenzo e nelle prediche di don Nicola.

Il figlio prediletto
Il figlio prediletto

La disperazione, la voglia di rivincita, il viaggio come un modo per dimenticare e scappare da un mondo che collassa nel suo immobilismo e nella sua ferocia, il marciume che viene fuori dalle tradizioni popolari e da una sub-cultura dominata dalla violenza e da un totale dominio dell’uomo sulla donna. Questo è lo specchio in cui si riflette l’immagine di Nunzio e Annina, senza dubbio i veri protagonisti di questo romanzo. L’autrice riesce a tratteggiare, con leggere e intense pennellate, lo schiudersi di due personalità che, pian piano, riescono a conoscere il fondo del proprio animo.

Sono la ferocia e il volto disumano della prevaricazione a contraddistinguere il destino di Nunzio e Annina: il bellissimo e promettente giocatore, innamorato del suo Antonio, viene inchiodato, come un Cristo in croce, alla dura e amara realtà che assume le sembianze di una mano assassina che, con brutale violenza, annienta e sfigura per sempre il volto divino del suo amore segreto. Irrompe, sin da subito, la logica criminale e sopraffattrice della delinquenza tipica di un paese sprofondato negli abissi dell’Aspromonte calabrese, la quale trova vitale nutrimento in una dimensione a-culturale dominata dall’ignoranza popolare, non quella genuina e preziosa, ma quella che abbassa lo sguardo dinnanzi a ogni forma di sopruso e dimostrazione di primitiva violenza.

Nella storia si intrecciano tematiche sociali, di estrema attualità, che riguardano la condivisione di diverse forme di espressione del proprio convincimento esistenziale, come l’omosessualità di Nunzio, appena sussurrata e subito soffocata dalla vergogna e dalla non accettazione da parte di una famiglia che è espressione di una profonda e radicata arretratezza culturale e che racchiude tutta la sua miseria e pochezza esistenziale nella figura del padre, uomo di spessore all’interno del sodalizio criminale del paese, che umilia il proprio figlio e lo spedisce in Inghilterra per attenuare il proprio senso di vergogna. Nunzio, come un italico Oliwer Twist, si ritrova a dover affrontare una terra mai conosciuta vivendo una sofferenza legata all’atroce destino cui era stato condannato il suo amore Antonio. La sua immagine riversa a terra, ormai privo di vita, sarà il suo crocifisso mentale fino a quando riuscirà ad assorbire, dentro le proprie viscere, il dolore vissuto nel paese nativo.

Il romanzo accompagna il lettore nel susseguirsi delle vicende nel corso degli anni Settanta e Ottanta: la contestazione in Inghilterra da parte delle forze di sinistra e degli operai, la vittoria della Thatcher e del più profondo conservatorismo che renderà vana l’attività di costruzione di idee e di valori politico-sociali portata avanti da Thomas, amico di Nunzio conosciuto in Inghilterra e convinto seguace di Marx. Anche questa volta l’amicizia che lega i due ragazzi verrà brutalmente distrutta dal destino feroce, questa volta per mano di un giovane studente.

Londra, città meravigliosa e meta di gloriose speranze, è il teatro esistenziale vissuto non solo da Nunzio ma anche dalla nipote mai conosciuta Annina che, sin da bambina, sogna di diventare un’attrice e che, dopo tanto soffrire, riesce ad arrivare a Milano e poi a Londra. Colpisce, nel leggere questo romanzo, la drammaticità delle vite vissute da questi due personaggi che gridano con forza la voglia di essere liberi, liberi di poter esprimere la propria personalità attraverso l’amore per una persona dello stesso sesso l’uno e la passione per il mondo dello spettacolo l’altra.

Altro personaggio di estrema durezza popolare è la Carmela, madre di Nunzio e nonna di Annina, testimone fedele delle tradizioni popolari che rappresentano il sostrato sub-culturale di una logica incentrata sulla predominanza del maschio sulla donna e sulla cieca accondiscendenza a ogni forma di violenza criminale. Straziante il dialogo tra la nipote e la nonna nell’ultima parte del romanzo che, come un cerchio che trova la sua perfezione, fa ritornare Annina alla sua terra, tanto odiata e temuta, per un abbraccio finale con il suo passato. La fotografia unisce idealmente zio e nipote: Nunzio, che scopre il talento per la fotografia sociale finalizzata a catturare la disperazione umana, e Annina, che proietta le sue speranze di rinascita e di riscatto nell’organizzazione di una mostra nel ricordo dello zio che, per un momento di felicità vissuto, viene punito ancora una volta da un destino.

Il romanzo è un caleidoscopio dell’animo umano: l’autrice scende in profondità e porta il lettore a vivere, con amorevole dedizione, il tentativo di riscatto di Nunzio e Annina, entrambi oppressi dall’ottusità familiare. Senza dubbio da leggere per riflettere un po’ di più su noi stessi e le nostre fragilità.

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